Storie di vite diverse by Bette Howland

Storie di vite diverse by Bette Howland

autore:Bette Howland [Howland, Bette]
La lingua: ita
Format: epub
editore: SEM
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Interruzione di corrente

Dormivo sul divano sotto una montagna di coperte e cappotti e il fuoco graffiava la grata.

Era andata via la luce, una di quelle strane tempeste primaverili che buttano giù gli alberi e interrompono la corrente. Il mondo era una palude di neve, le Everglades erano diventate bianche. Cumuli alti fino alle ginocchia, rami fluttuanti, piegati verso il basso, spezzati e ricoperti di neve. Tutto si inchinava per l’età e il silenzio.

L’unica altra anima che avevo visto in tutta la giornata era il custode di quel posto dall’altra parte della strada, quello che apparteneva al Colonnello Tal de’ Tali. Gli eredi se la stanno discutendo in tribunale, litigando su chi ottiene cosa e su cosa è stato promesso quando, e nel frattempo la casa se ne sta lì, un grande elefante rosa, pan di zenzero, trafori, ghirigori e tutto il resto, a farsi ripulire dai vandali. Si sarebbero portati via anche il cannone piazzato sul prato davanti a casa, se non fosse che il collo di ferro è incastonato nel cemento.

Il vecchio sembra sapere il fatto suo.

Passa a controllare più o meno tutti i giorni. Sento lo sportello di un’auto che sbatte, alzo gli occhi, ed eccolo, grande e grosso – giacca a scacchi verdi da boscaiolo e scarponi da lavoro gialli – che si fa piccolo per uscire dal basso portellone posteriore. Una macchina giapponese, che cito perché da queste parti sembrano essercene parecchie. Il rivenditore del quartiere deve essere un piazzista della madonna. Le piccole automobili vanno su e giù sferragliando per il paesaggio patriottico, quasi una parte di esso, come i mattoni rossi e le finestre ad arco, le piramidi blu e irregolari delle montagne, le betulle bianche. (Pensi che anche gli altri alberi siano bianchi, finché non rivedi le betulle.)

E dunque eccolo. Colletto che punta verso l’alto, paraorecchie verso il basso, mani che infila nelle tasche sulla pancia, una pipa che estende l’angolo, l’intento, della sua testarda mascella da yankee. Gli occhi dentro gli occhiali hanno uno scintillio sarcastico, il respiro gli si irrigidisce nell’aria gelida e vacilla innanzi a lui.

«Come sta la macchina da scrivere?» Lo chiede sempre, solo che di solito dice “macchina da scriverti”. È il suo modo di scherzare, intende sia me che la macchina da scrivere. È lui che me l’ha consegnata, si era messo a quattro zampe sotto la mia scrivania per collegarla alla presa elettrica. «Ora come sa mi scuserà» dice e si sfrega tra loro le mani di carta vetrata. «Giù devo andare un po’ a lavorare.»

Dai pantaloni larghi penzolano fili, pinze, tronchesine, nastro isolante nero. Ha sistemato trappole e allarmi, per fare una sorpresa ai vandali: «La prossima scossa sarà bella grossa».

Mi sa che ci rimarrebbe male se non ci fosse nessuna prossima scossa.

Oggi la casa è stata al sicuro, sepolta sotto una tonnellata o due di roba incredibilmente luminosa. Non riuscivi a guardare la neve per come il sole le picchiava sopra. Una ghiandaia azzurra ha balenato tra i rami, i colori della giornata invernale. Nero bianco azzurro.



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